due parole per domenica 11 luglio 2021 – XV domenica del tempo ordinario B

don Giovanni De Rosa:
Da questa domenica iniziamo la lettura della terza parte del Vangelo di Marco. Anche qui Gesù dà principio a qualcosa di nuovo con il coinvolgimento dei Dodici, che precedentemente aveva chiamato e aveva definito il profilo: stare con lui e mandarli a predicare. Nel compito affidato ai suoi amici è riassunta l’identità della nuova comunità: essere lì dove l’uomo soffre. Insomma in una manciata di versetti si parla di noi: di chi siamo, di quanto grande è la stima che Dio ha nei nostri riguardi, di quale vocazione abbiamo ricevuto, di cosa abbiamo bisogno e di cosa possiamo fare a meno, e quale stile ci deve caratterizzare. Vedete, attraverso l’incarico affidato non ad un singolo ma al germe della comunità, rappresentato dal numero plurale dei missionari. Gesù fa comprendere che ognuno di noi “è una missione”. La chiamata è quindi a “illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liverare” e a far ciò in uno stile di povertà e comunione, che sono gli unici certificati di credibilità a cui gli uomini e le donne di oggi danno credito. Basti che pensiamo a Santa Teresa di Calcutta. Anche Lei donna della “fatica” che sarà la compagna dei messaggeri del Vangelo, lo indicano anche i sandali; la strada da fare è lunga, perché fino a quando il Signore tornerà ci sarà bisogno di spingersi verso il cuore di ogni figlio di uomo. E anche se ci fosse chi non accoglie, la polvere dei nostri piedi sarà lì a testimoniare che ne abbiamo fatta di strada, e altra ne faremo per cercarlo e mostrargli l’amore di Dio e il nostro. E tutto questo per mezzo dello sguardo di compassione o come ci dice Papa Francesco con uno sguardo misericordioso.

don Mario Zaina:
“Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele”
Così il profeta Amos risponde ad Amasia, che lo vuol cacciare via, non riconoscendo il suo operato.
Se possiamo definire il profeta “uomo di Dio”, può valer la pena chiederci cosa significhi oggi essere uomini e donne di Dio.
Amos, con la sua risposta dice che se si trova ad essere profeta, non è per tradizione o volere umano. E’ perché Dio lo ha chiamato e lo ha inviato, ed egli ha accettato di essere ciò che Dio gli aveva proposto.
Potremmo allora chiederci:
di ciò che sono, quanto è grazie all’uomo e quanto grazie a Dio?
La risposta probabilmente evidenzierà tante cose di origine umana: il lavoro, un titolo di studio, la casa, la famiglia, una sicurezza economica, l’automobile, il cellulare, ……
Ce ne saranno di meno se pensiamo a cosa sono grazie a Dio. Il pensiero andrà alla prima comunione, al battesimo, alla cresima, alla confessione, al matrimonio……
Ma attenzione: la domanda, senza che ce ne accorgiamo, dal “cosa sono” è diventata “cosa ho ricevuto”. Dobbiamo tornare al “cosa sono” o meglio “chi sono” grazie a Dio. E allora può essere più semplice capire che Dio mi chiama ad essere in mezzo agli altri, sicuramente con quello che ho, ma soprattutto con quel che ho imparato ad essere e sono, grazie a Dio.
A questo punto, non possiamo non chiederci: “Cosa mi ha insegnato Dio?”
Non perdiamo quest’occasione per rinnovare il nostro voler essere uomini e donne di Dio.

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