due parole per domenica 5 settembre 2021 – XXIII domenica del tempo ordinario

don Giovanni De Rosa:
In questa domenica vorremmo essere tutti in questo sordomuto guarito. Anche nella nostra diocesi ci sono molti sordomuti però non tutti ne siamo coscienti. E soprattutto il testo ci vuole far comprendere come è l’incontro con il Signore a salvarci, ma diciamoci la verità raramente siamo noi a cercarlo per la prima volta. È sempre un “tu” a guarirci, ma necessita sempre di un “Noi”. Perché l’incontro con il Signore necessita sempre di una mediazione. Quest’uomo, da solo, forse non ci sarebbe mai arrivato. Magari aveva sentito parlare di Gesù, delle guarigioni che aveva operato, ma forse non credeva che tutto questo potesse riguardarlo personalmente. Un po’ anche a noi questo capita… o ci è capitato… Qualcuno lo ha creduto per lui, prima di lui, e lo ha condotto a Cristo, a me per esempio è stata la mia catechista delle cresime Mirella… Alle volte credetemi è proprio la fede di questi intermediari a fare in modo che il Signore si faccia presente e aiutarci, sollevarci, soccorrerci, abbracciarci. Ma attenzione se è vera fede, in questi intermediari, vi è la capacità di farsi da parte nel momento in cui l’incontro diventa personale, a tu per tu. Il sordomuto dovrà essere solo per essere guarito. Ed è proprio da questa relazione che noi ci giochiamo il nostro quotidiano, che davvero ci può cambiare la vita. Gesù quando poi è in relazione con noi ci dice: “Apriti”. Perché così ci può donare il suo Spirito Santo e ci chiama ad una guarigione per tutta la nostra esistenza. Perché tutta la nostra vita è chiamata ad aprirsi a Lui e all’ascolto della sua Parola. Perché poi a nostra volta potessimo essere capaci di pronunciare parole buone agli altri !!!

don Marco Zaina:
“Dite agli smarriti di cuore: Coraggio, non temete….” (Is 35,4-7)
“Il Signore rimane fedele per sempre…..
Il Signore ridona…., rialza….., ama….., protegge…..
Egli sostiene l’orfano e la vedova..” (Salmo 145)
“Dio non ha scelto forse i poveri nel mondo…….” (Gc 2, 1-5)
“Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte,…..” (Mc 7,31-37)
C’è un filo che lega le letture di questa domenica e credo si possa sintetizzare con la parola “Speranza”. E’ la speranza di salvezza, di gioia di vita, per i poveri che si riconoscono bisognosi di Dio. Sono tante le povertà e ogni giorno ne possiamo prendere atto: chi cerca di fuggire dalla guerra, dalla violenza; chi non ha possibilità di istruzione; chi vive lo sfruttamento; chi si trova a non poter vivere dignitosamente; chi viene discriminato; chi non ha un lavoro; chi è costretto alla solitudine e all’abbandono;….
Per tutti questi poveri, aprire il cuore all’agire di Dio, vuol dire “speranza”. Ma non dobbiamo pensare che basti questo. Giustamente “il povero” potrebbe dire, con tutta umiltà e con tutto il cuore, anche con un solo briciolo di fede: “ Io credo, spero, ma quando arriva la consolazione di Dio? Quando e come potrò uscire da questa condizione di povertà? Quando e come avrò un lavoro per mantenere la mia famiglia? Quando e come potrò vivere in pace senza temere di essere colpito da una bomba? Quando e come potrò istruirmi per mettere a disposizione degli altri i talenti che ho? Quando e come potrò guadagnarmi da vivere dignitosamente ed essere rispettato per il lavoro che faccio?”
Sono domande che imbarazzano. Ma veramente: come Dio dà speranza a queste persone e come questa speranza non rimane solo parola, promessa, ma si realizza?
E qui l’attenzione si sposta su chi povero non è. Il messaggio dovrebbe essere chiaro: chi può ha la responsabilità di fare qualcosa per chi non può. San Giacomo nel brano riportato nella seconda lettura, ad un certo punto cita una situazione concreta: “Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?”
La fede non prevede preferenze, favoritismi. Mi viene in mente una bellissima poesia di un personaggio che i non più giovani quasi sicuramente ricordano: Antonio De Curtis (in arte Totò). E’ scritta in napoletano (la si trova su internet digitando ‘A livella’, con relativa versione in italiano).
Il contenuto è che siamo tutti uguali di fronte alla morte. Perché giudicare, discriminare, vantarsi,…
L’unico modo per vivere pienamente è proprio quello di essere per l’altro, di fare attenzione al bisognoso; di prendersi cura di…
Ecco la Speranza che Dio offre al povero: chi povero non è. Pensiamo: io (che ho) posso essere speranza per l’altro (che non ha). Non è bello?

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