due parole per domenica 12 dicembre 2021 – III domenica di Avvento “della gioia” – anno C

don Giovanni De Rosa:
Anche questa domenica, troviamo espresso nel brano di Luca un motivo di gioia. E a proporcelo come stile di vita costante è san Giovanni Battista, che proprio in questa terza domenica detta della “gioia” emerge come figura esemplare circa la carità, la giustizia, l’onestà, la rettitudine morale. Cioè per preparare la strada all’atteso Giovanni si mette all’opera ed evangelizza. Come? Invitandoci alla conversione. Quello che chiede Giovanni come impegno personale è proprio quanto ci dice il Vangelo di oggi. Per mezzo di Giovanni Battista capiamo e percepiamo che Dio riunisce due amori: amore verso Dio ed amore verso il prossimo; ma essi devono convivere insieme. In questo cammino di Avvento siamo sempre più chiamati alla conversione, essa innesca cambiamenti e rinnovamenti che portano sempre scompiglio nelle dinamiche del mondo, e del nostro pensare. Diciamoci pure che in questa domenica ci viene chiesto di gioire. Sì, ma, come facciamo Signore, ci sentiamo insoddisfatti? Attenzione l’insoddisfazione è uno stato d’animo tipico di chi opprime e annulla la gioia. Lasciamoci in questo tempo pervaderci e convertirci personalmente per assumere comportamenti moralmente corretti. La lezione del Precursore ci serva per essere buoni cristiani fedeli oggi e sempre.

don Marco Zaina:
La liturgia della parola della terza domenica di avvento è caratterizzata dall’invito a gioire.
Se per curiosità andiamo a contare quante sono le parole che richiamano la felicità, vediamo che sono tante. Io ne conto undici, su 21 righe di testo che troviamo nel foglietto domenicale.
Ma lasciamo stare i numeri. Significativo è questo invito ad essere felici, lieti, gioiosi, per la consapevolezza che Dio è in mezzo a noi, Salvatore potente che porta salvezza.
Se il brano del profeta Sofonia è un invito per il popolo ad esultare perché il Signore Dio è presente e rinnoverà il suo popolo con il suo amore, il brano della lettera di Paolo ai Filippesi è l’esplicito invito alla felicità, alla letizia.
A questo punto mi piace sottolineare una frase, tratta dal Salmo responsoriale: “Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza”.
La fiducia in Dio vince la paura. Ma paura di che cosa?
Dio è mia forza e mio canto. Ma come mi dà forza? E poi: cosa vuol dire che è mio canto?
Credo si possa dare un’unica risposta.
A volte abbiamo paura di affrontare la vita, con le sue difficoltà. Ma spesso queste difficoltà sono causate dal peccato, dalla cattiva volontà dell’uomo, dai suoi pregiudizi, dal suo orgoglio. Ecco che da questa paura ci libera il Signore con la sua forza (ci rinnova con il Suo amore); e così la stessa vita, lo stesso Dio diventano canto. Non il canto del testo di una canzone che si interpreta. Bensì diventano quel qualcosa che nasce dal cuore ed è melodia, è amore: per la vita, per il creato, per l’uomo.
Di fatto, quando in chiesa abbiamo la fortuna e il piacere di avere chi anima la messa con i canti, ci accorgiamo che i testi, ma anche la sola musica, sono proprio lode alla vita, lode al creato, lode a Dio.

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